Coincidenza ippocampale tra posizione
propria e identità del luogo
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 27 marzo
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE E AGGIORNAMENTO]
Il 2005,
con la scoperta da parte di Edvard Moser e la moglie May-Britt
Moser[1] di neuroni della corteccia entorinale in grado di
registrare la collocazione di un individuo nello spazio esterno ripartito dal
cervello in linee disposte a formare una grata, sembrò che si compisse il senso
della funzione delle cellule di luogo scoperte trentaquattro anni prima
e si cominciasse a delineare un quadro del complesso sistema adoperato dal
cervello per consentire a noi, come a tutti gli altri mammiferi, di orientarsi
nello spazio.
La nostra
società scientifica era nata solo da due anni e noi tutti provammo l’emozione
di comunicare per primi la scoperta di quel sistema cellulare entorinale, che
faceva presagire ulteriori scoperte di tipi cellulari specializzati in sottocomponenti
del compito di orientamento e componeva con il sistema di neuroni piramidali
dell’ippocampo un insieme funzionale unico, agente in modo da assicurare a un animale
di sapere con un automatismo dove si trova.
Noi eravamo
affascinati dalla possibilità nella nostra specie di esplorare il rapporto tra
i processi visivi legati alla coscienza e questo sistema di computazione
automatica, che nell’uomo dovrebbe costituire la base inconscia del
sapere relativo al dove siamo e al come muoverci per seguire l’intenzione
astratta di raggiungere una qualsiasi meta. Qualcuno di noi poneva anche un problema:
se lo sviluppo della coscienza umana legato all’evoluzione neoencefalica
della vista ha di fatto creato un modo più efficace di orientarsi basato su
concettualizzazioni astratte e memorie esplicite, un tale insieme di processi
schematici, paragonabile alla funzione di un “pilota automatico”, dovrebbe essere
in regressione. A questo problema il nostro presidente trovò anche
immediatamente una soluzione: “I due sistemi non sono in competizione ma si
integrano agendo in due diverse dimensioni temporali: quello automatico
fornisce in centesimi di secondo informazioni integrate fra luogo,
posizione nello spazio, limiti delle aree percorribili e orientamento relativo del
capo, mentre il sistema cosciente esplicito richiede i tempi di percorrenza necessari
all’attraversamento del circuito corticale scoperto da Benjamin Libet e, integrando contenuti di pensiero, consente una riflessione
orientativa”[2]. Ossia un processo del tutto diverso dall’istintivo
sapere dove ci si trova e muoversi senza preoccuparsi di come fare per
raggiungere un luogo; infatti, si tratta di un modo specificamente umano e paradigmatico
dell’uso delle risorse della coscienza dichiarativa, basato su contenuti di
memorie rievocate o su ragionamenti.
Un esempio dell’uso di contenuti mnemonici può
essere l’identificazione, sulla base di un ricordo associato, di un punto di
riferimento in una via di una città visitata in precedenza; mentre un esempio
dell’uso di ragionamenti deduttivi può essere desumere in quale luogo di una
città sconosciuta ci si trovi, dai principi urbanistici adottati nella sua
costruzione.
La
scoperta dei coniugi norvegesi divenne nei media “l’identificazione
della bussola nel cervello”[3]. Ma, anche se l’accostamento metaforico è efficace
per introdurre i profani, è importante come non mai spiegare che non si tratta
di un’analogia: una bussola è uno strumento di misura che viene letto dalla
nostra intelligenza e da sola non fa nulla; men che meno guidare una nave.
I Moser
avevano scoperto uno dei sistemi neuronici che elabora informazioni utili all’orientamento
e alla percorrenza dello spazio in modo corretto per gli scopi dell’animale e nel
rispetto della sua integrità fisica. Uno dei sistemi, la cui funzione è sempre
integrata con quella di altri sistemi con sede nell’ippocampo, creando un
insieme che determina direttamente in frazioni di secondo la direzione della
velocissima corsa di un ratto in un ambiente inesplorato, i semplici
aggiustamenti posturali e gli spostamenti esplorativi alla ricerca di nuove
informazioni da elaborare per rapide sintesi decisionali ed esecutive.
I sistemi
di neuroni di cui abbiamo parlato, spiegando sedici anni fa anche per email a
studenti, medici e psicologi cosa si fosse compreso della loro fisiologia, evitano
che si vada verso un ostacolo o si entri in un’area pericolosa o indecifrabile
a colpo d’occhio grazie alle informazioni provenienti dalle border
cells; oppure prevengono, per effetto delle head direction
cells, il movimento incongruo che si avrebbe per uno slancio basato su un’informazione
visiva improvvisa di direzione, che non tenga conto della posizione del capo rispetto
al corpo.
Ma
facciamo un passo indietro nel tempo, per risalire all’inizio di queste
ricerche, quando le concezioni psicologiche correnti tendevano a considerare l’orientamento
negli spostamenti una pura questione di coscienza visiva, e si tendeva ad
estendere questa interpretazione al comportamento animale (umanomorfismo),
non riuscendo però su questa base a spiegarsi come fanno, ad esempio topi e ratti,
ad individuare un passaggio, un cunicolo, un foro o uno spazio in un ambiente
in cui sono appena giunti per caso e schizzare, letteralmente, imboccandolo
così da scomparire alla vista prima ancora che li si sia focalizzati sulla retina.
Allo stesso modo, rimaneva misterioso come facessero varie specie animali a ritrovare
cibo che avevano nascosto in un campo apparentemente privo di contrassegni o
letteralmente mutato nell’aspetto da eventi naturali.
Edward Tolman, noto studioso di psicologia cognitiva, ipotizzò che
da qualche parte nel cervello dovesse esistere una mappa dell’ambiente.
L’ipotesi,
giunta al vaglio di neurofisiologi che conoscevano le mappe somatomotorie
e somatosensitive corticali descritte fin dagli anni
Cinquanta da Wilder Penfield, in cui si aveva la
precisa rappresentazione di ciascuna area del corpo in una corrispondente zona
della corteccia post-centrale per l’elaborazione sensitiva e di quella
precentrale per l’elaborazione motoria, divenne ipotesi dell’esistenza di una mappa
allocentrica[4] contrapposta a quella somatocentrica
degli omuncoli sensitivo e motorio di Penfield e
Rasmussen. La ragionevole idea della generica esistenza di una rappresentazione
interna dello spazio esterno rimase tale fino al 1971, quando John O’Keefe e
John Dostrovsky scoprirono nell’ippocampo di ratto
una mappa cognitiva dell’ambiente circostante studiando i pattern di
scarica di neuroni piramidali delle regioni ippocampali CA3 e CA1. Ciascuno dei
neuroni studiati si attivava solo quando il roditore entrava in una particolare
localizzazione dell’ambiente, così O’Keefe e Dostrovsky
chiamarono place cells (cellule di luogo) questi neuroni e place
fields (campi di luogo) le ristrette aree entro cui si attivavano.
Si è poi
visto che, quando un animale entra in un nuovo ambiente, si verifica uno
specifico apprendimento in CA3 e CA1, risultante in una nuova mappa: i nuovi campi
di luogo si formano nell’arco di alcuni minuti e durano poi settimane o
mesi. La loro specificità associata alla stabilità nel tempo consente di riconoscere
gli ambienti attraversati dall’animale dal pattern ippocampale delle
cellule di luogo. Oggi sappiamo che l’aggiornamento nel passaggio da un
ambiente all’altro avviene attraverso un “rimappaggio”
o riformazione della mappa, ma il modo in cui gli elementi contestuali sono
combinati per condurre alla formazione di una nuova rappresentazione non si
conosce ed è oggetto di dibattito.
Mark H. Plitt e Lisa M. Giocomo hanno condotto
uno studio che ha gettato luce sul problema e ha consentito delle interessanti
conclusioni.
(Mark H. Plitt & Lisa M. Giocomo, Experience-dependent
contextual codes in the hippocampus. Nature
Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-021-00816-6, 2021).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Neurobiology,
Stanford University, Stanford, California (USA).
Si riporta
qui di seguito una sintesi che introduce a questo campo di studi:
“La
dimostrazione da parte di O’Keefe della funzione delle cellule di luogo ha fornito la prima evidenza di una rappresentazione
cerebrale dell’ambiente che consente all’animale un’agevole ed efficace
traduzione delle intenzioni locomotorie in atti appropriati alle
caratteristiche dello spazio. Questa mappa
cognitiva non è organizzata secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico, come la somatotopica del
tatto sulla superficie della corteccia cerebrale, ma è una rappresentazione che
si può definire allocentrica, essendo
fissata ogni volta rispetto ad un punto del mondo esterno. In altri termini, è
una rappresentazione dello spazio-ambiente relativa al punto in cui si trova
l’animale.
La
mappa cognitiva ippocampale dello spazio rappresentata nelle cellule di luogo, nei trent’anni
seguenti, ha ottenuto numerose conferme sperimentali ma, sebbene la sua
esistenza fosse diventata una nozione consolidata nella didattica, rimaneva un
mistero come facesse questa popolazione cellulare a conoscere le informazioni
spaziali necessarie alla sua funzione. In altri termini, non si riusciva a
capire in che modo la mappa si costituisse, quale tipo di informazioni spaziali
e in quale modo giungessero a queste regioni dell’ippocampo.
Nonostante
l’impegno di molti ricercatori, si continuò a brancolare nel buio fino al 2005,
quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi
accesero una luce straordinaria con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato
come una griglia che mappa lo spazio
nella corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[5].
I
neuroni scoperti dai coniugi Moser, detti cellule griglia o cellule a
grata o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e,
a differenza delle cellule di luogo ippocampali
che si attivano solo quando l’animale è in una singola e specifica
localizzazione, scaricano ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni
regolarmente spaziate a formare una griglia
o grata a maglie esagonali. Questa
grata consente al cervello di
localizzare il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate
cartesiane proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal
contesto, da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti
un luogo[6].
Le
informazioni spaziali codificate dalle grid cells, secondo
il criterio della griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi
convogliate all’ippocampo dove sono elaborate nella chiave di singole
rappresentazioni spaziali corrispondenti all’attivazione delle cellule di luogo.
Ogni
dato ambiente, per gli animali studiati e presumibilmente per la nostra specie,
trova corrispondenza in una particolare configurazione
di attività della specifica popolazione di cellule ippocampali, ossia è
rappresentato in un firing pattern che, una volta costituito, è
stabilmente conservato. Come? Questo problema di memoria ha impegnato a lungo i
ricercatori: poiché le cellule di luogo o place
cells non sono altro che i neuroni piramidali sui quali da decenni si
studia il potenziamento di lungo termine (LTP), la principale base cellulare
della memoria che si conosca, si è ipotizzato un ruolo dell’LTP nella
conservazione della memoria della configurazione
di attività corrispondente all’ambiente.
La
verifica di tale ipotesi ha richiesto esperimenti con topi mancanti della
subunità NR1 del recettore NMDA, necessaria per il potenziamento di lungo
temine dell’attività sinaptica dei neuroni piramidali. Gli esperimenti,
sorprendendo i ricercatori, hanno mostrato che i neuroni piramidali
ippocampali, nonostante il blocco dell’LTP, ancora si attivano secondo campi di luogo. In questi topi mutanti, però,
i campi di luogo risultano più
espansi e meno precisamente delimitati nella sagoma dei loro confini rispetto a
quelli dei topi normali. In un’altra serie di esperimenti con topi mutanti si è
cercato di verificare l’importanza della fase terminale del potenziamento e
della memoria spaziale a lungo termine. In tali ceppi murini l’espressione di
un transgene che codifica una proteina inibitrice della proteinchinasi A, selettivamente elimina lo sviluppo della fase
tardiva dell’LTP e della memoria dello spazio di lunga durata. Anche in questo
caso i campi di luogo si formavano
ancora, ma le configurazioni di attività
(firing patterns) delle singole cellule di luogo duravano all’incirca
un’ora e poi andavano perdute.
Su
questa base si è dedotto che l’LTP tardivo non è richiesto per la formazione
dei campi di luogo, ma è
indispensabile per la loro stabilizzazione a lungo termine.
Un
filone più recente e affascinante di indagini è quello che, con numerosi
lavori, ha affrontato il problema dei rapporti fra la struttura funzionale
delle mappe spaziali ippocampali e le basi neurali della memoria esplicita o
dichiarativa tipica della nostra specie.
Nell’uomo,
la memoria esplicita può essere definita come la rievocazione cosciente di
fatti relativi a persone, luoghi ed oggetti. Nei topi non è possibile studiare
la coscienza (coscienza di ordine
superiore, secondo Edelman), pertanto si è eletta come equivalente l’attenzione selettiva, funzione
indagabile nel topo ed attiva nell’uomo durante la rievocazione cosciente. Gli
esperimenti condotti secondo questa impostazione hanno dimostrato che la
memoria a lungo termine di un campo di luogo stabilmente conservato
nell’ippocampo non è una memoria implicita costituita e usata automaticamente,
ma richiede l’intervento di processi di specifica attenzione all’ambiente, che
possiamo ritenere equivalenti della nostra rievocazione cosciente.
[…]
a fronte dell’esigenza di una codifica specifica e rapida delle nuove
informazioni per un uso efficace, l’ippocampo e le aree collegate rispondono
con sistemi neuronici in grado di registrare una grande quantità di
informazioni non correlate fra loro, fornendo un ricco materiale di indagine
dal quale è stata tratta una considerevole mole di risultati. I coniugi Moser,
per analizzare quanto emerso, hanno preso le mosse dalle proprietà delle place cells, delle grid cells, delle quali si è già detto,
e delle border cells, ossia un tipo neuronico che
risponde elettivamente al rilievo dei confini di uno spazio dell’ambiente. Il
che in sostanza vuol dire che hanno basato la loro valutazione sui principi fisiologici
che sono stati desunti dall’attività di queste cellule e dal profilo funzionale
che si va delineando per i sistemi cui appartengono.
In
estrema sintesi, la concettualizzazione di quanto osservato dai Moser può così
schematizzarsi:
1) le “cellule a grata” o griglia o grid cells forniscono l’ippocampo di un sistema metrico altamente specializzato,
ma anche di un probabile meccanismo che realizza una separazione o de-correlazione
di rappresentazioni;
2) la formazione di mappe di luogo
(place maps)
specifiche per l’ambiente dipende da meccanismi di plasticità a lungo temine
delle sinapsi ippocampali;
3) l’immagazzinamento di memorie
spazio-temporali a lungo termine
dipende da processi di consolidamento che avvengono offline e sono associati ad una specifica attività elettrica
ippocampale (sharp-wave ripple) da
tempo correlata a questo processo;
4) l’enorme quantità di rappresentazioni,
generate dalle interazioni fra una varietà di sistemi cellulari funzionalmente specializzati del circuito corteccia entorinale-ippocampo, può
costituire il nucleo fondamentale della memoria dichiarativa”[7].
Dunque, l’ippocampo
contiene rappresentazioni neurali capaci di supportare la memoria
dichiarativa o esplicita, la cui base neurale si sta delineando in modo
sempre più definito. Una di queste rappresentazioni è stata identificata nella
specifica e peculiare attività delle cellule di luogo, ciascuna delle
quali scarica in una sola o in poche e definite posizioni occupate dall’individuo
nello spazio-ambiente circostante. Tra ambienti diversi i campi di attivazione
delle cellule di luogo vanno incontro a una rimodulazione della mappa, così da
fornire un codice esteso a un’intera popolazione per differenti contesti. Ma la
maniera mediante la quale gli elementi contestuali si combinano per guidare la nuova
mappatura ippocampale rimane materia di dibattito e dissenso, come si è già
accennato in precedenza.
Mark H. Plitt e Lisa M. Giocomo, usando
la registrazione bi-fotonica del calcio intracellulare nei topi durante la
navigazione virtuale, hanno dimostrato che la nuova mappatura nella regione CA1
dell’ippocampo è guidata dall’esperienza precedente riguardo la frequenza di particolari
elementi di contesto, e che tale rimodulazione approssima una stima ottimale
dell’identità del contesto corrente. Questi risultati possono essere riprodotti
da un semplice meccanismo di apprendimento associativo.
Presi
insieme tutti i dati emersi da questa sperimentazione, per il cui dettaglio si
rinvia al testo integrale del lavoro originale, dimostrano che la
ricostituzione delle mappe delle cellule di luogo consente a un animale di compiere
simultaneamente l’operazione di identificazione della propria localizzazione
fisica nell’ambiente in cui si trova e la stima ottimale dell’identità del
luogo.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura di recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-27 marzo 2021
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BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] May-Britt Moser è
neurofisiologa e docente di neuroscienze; conseguì il dottorato in
neurofisiologia nel 1995 e ora è direttrice del Centro di Computazione Neurale
dell’Università delle Scienze e della Tecnologia di Trondheim in Norvegia. Nel
2014 col marito Edvard e John O’Keefe ha ricevuto il Premio Nobel per la
Fisiologia o la Medicina. Non è una psicologa. Cogliamo l’occasione per correggere
questo grave errore di informazione compiuto da tutti i media che riprendono l’errore
di Wikipedia: incredibilmente, come accadeva cento anni fa quando non c’era la
scuola dell’obbligo, nella mente di molti operatori mediatici permane una
nebbia che offusca tutto ciò che riguarda il cervello e non consente di
distinguere l’approccio alla mente sulla base di costrutti teorici dallo
studio scientifico del cervello in termini molecolari, cellulari e di
sistemi neuronici; studio che si basa sulla fisica nei metodi elettrofisiologici,
sulla chimica biologica per l’indagine molecolare e poi sulla genetica, sulla
citologia e sulla fisiologia.
[2] Giuseppe Perrella e coll. La scoperta di un sistema neuronico di
orientamento nella corteccia entorinale da parte dei coniugi Moser, p. 2,
BM&L-Italia, Firenze 2005.
[3]
Rispetto
al basso livello del passato e alle pessime abitudini dell’informazione
scientifica del nostro paese era già un passo in avanti; ma noi confidavamo
nella possibilità che in una nazione in cui la terza media è obbligatoria per
legge si potesse dire esattamente in cosa consistesse la scoperta, ossia
neuroni che si accendono specificamente quando si è in una posizione dello
spazio definita da una griglia a maglie triangolari dinamicamente costruita nel
cervello.
[4] Qualcuno adoperava l’espressione
“mappa geocentrica”, più suggestiva ma meno corretta per il riferimento all’ambiente
immediatamente circostante un animale.
[5] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali
aiutano ad esplorare l’ambiente; Note
e Notizie 06-10-07 Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce
l’indicazione bibliografica per esteso dei due lavori che hanno comunicato la
scoperta da parte dei Moser, oltre al riferimento al volume classico di
introduzione all’argomento). Numerose altre recensioni si trovano scorrendo
l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” (dall’11-03-2003 al 10-07-2010
sono rubricate come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE” cui si accede dal fondo della
pagina “NOTE
E NOTIZIE”).
[6] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato
dimostrato che la loro attività richiede il segnale neuroni che indicano la
posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si
raccomanda la lettura della recensione della professoressa Richmond: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia
hanno bisogno del segnale delle cellule HD.
[7] Note e Notizie 28-11-15 Una
lezione sulla memoria dai coniugi Moser insigniti del Premio Nobel.